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della Parrocchia di San Pelagio Martire

ANNO 1630 – LA PESTE A S. PELAGIO

ANNO 1630 – LA PESTE A S. PELAGIO

La pagina dell’anno 1630 del “Libro dei Morti”, conservato presso il nostro Archivio Storico Parrocchiale, con le notizie sul numero e le cause di morte dei parrocchiani di quell’anno, ci fa intuire la drammaticità dei momenti trascorsi sotto l’incubo della peste. 

La PESTE, come si legge nel volume “Storia Dentro” di Conegliano, edito nel 1989, fu introdotta nel nostro territorio nel 1630, “dalle truppe tedesche scese dalla Valtellina per combattere, alleate agli Spagnoli, la guerra di Mantova contro Francesi e Veneziani”.

Lo stesso testo riferisce che “in quell’epoca, della peste non si sa molto: solo agli inizi del ‘900 si è scoperto che è una malattia tipica dei topi e che viene trasmessa dalle loro pulci (è questa la peste “bubbonica”; ne esiste anche una forma cosiddetta “polmonare” pressoché sempre mortale, che si trasmette per contagio diretto… La mortalità (a causa della peste) va dal 60 al 85%”.

LETTURA DEL “LIBRO DEI MORTI” DALL’ANNO 1628 ALL’ANNO 1634

Per meglio comprendere quanto succederà in particolare nell’anno 1630 riportiamo la documentazione manoscritta  che troviamo nel “Libro dei morti” anche degli anni che precedettero e seguirono questo anno fatidico.

Anno 1628

“il dì 4 Agosto paso (passò) di questa  vitta (vita)  sior Tomio (Tommaso) Martignon amalato di dolori colici et morì di añi 30 in circa (di circa 30 anni)

il dì 27 settembre paso di questa vitta (vita) Siora Maria Martignon amalata di idropisia se ne morì di añi (anni) venti sie (di anni ventisei)

il dì 18 ottobre paso di questa vita Sior Andrea Moro amalato di febre continua se ne morì di ani ottanta”


Anno 1629 “il di 24 genaio Paso (passò) di (da) questa à milgior (miglior) vita Sior (la Signora) Menega (Domenica) molgie (moglie) di Sior Tomasin Martignon amalatta (ammalata) di febre continua morì di añi 44

il di 2 febraro (febbraio)  paso (passò) di questa à milgior vitta Donna Zuana (Giovanna) molgie di Sior Benetto (Benedetto) Martignon amalata di febre et dolgie (doglie) di añi 48

il di 14 febraro paso di questa à milgior vitta Donna Margarita Coppa amalata et gonfia et febre mori di añi cinquanta

il di 2 Marzo paso di questa à milgior vitta Sior Mattio (Mattia) Montellato amalato di febre et un cataro (catarro?)  se ne morì di añi 48 in circa

il di 4 ditto (sopraddetto, cioè il 2 marzo)  paso (passò) di questa vitta Sior Santo Pacato amalato di febre maligna se ne morì di añi trenta

il di 2 Magio 1629 paso di questa à milgior vitta Sior Marco Porcelengo et sua consorte (moglie) et un suo figlio amalati et di fame se ne morì

il dì 24 Zugnio (Giugno) 1629 paso di questa à milgior vitta Sior Tomasin Martignon amalato di febre et fame se ne morì di añi 50”


Anno 1630

“il dì 16 Marzo paso di questa vitta (passò da questa vita) Donna Lorina Crossatta amalata di mal longo et febre morì di añi 48”

Questa defunta venne annotata, come ultima morta, sulla facciata destra del testo.

La seguente facciata sinistra, il “foglio 100”, (cioè la pagina n. 100) provoca un brivido quando la si guarda o la si tocca con rispetto perché troviamo una pagina lasciata completamente in bianco. Su di essa non viene riportato alcun nome di defunti.

Alcuni storici ritengono che questo foglio sia stato volutamente lasciato in bianco dal parroco perché questi non sarebbe stato in grado di sapere con certezza quanti furono i defunti di quel tempo.

E le supposizioni a questo punto possono essere molte:

  • forse anche Don Angarano cercò di fuggire dalla peste che stava colpendo S. Pelagio per andare a rifugiarsi in altre zone ritenute meno pericolose e quindi una volta ritornato in parrocchia non ebbe modo di sapere esattamente il numero di quanti erano morti durante la sua assenza
  • forse alcune persone colpite dal morbo erano state ricoverate nel Lazzaretto di Treviso
    (si trovava nella attuale zona di S. Lazzaro) e in seguito se ne erano perse le tracce
  • forse altre erano scappate dal paese senza lasciare alcuna notizia
    e non si era certi se fossero morte altrove
  • forse il parroco stesso si era ammalato e non era in grado di conoscere
    la condizione esatta dei suoi parrocchiani
  • forse per trascuratezza aveva lasciato trascorrere un tempo troppo lungo
    per scrivere sul registro i suoi morti dei quali alla fine non ricordava i dati esatti

Dopo aver lasciato la famosa pagina in bianco, che molti hanno avuto l’occasione di vedere nella “Mostra dei Mille anni di Cristianesimo a S. Pelagio” allestita durante la Sagra dell’Addolorata nel mese di settembre dell’anno 2000 dal Gruppo Teatrale di S. Pelagio “Tentativo”, Don B. Angarano, nella successiva pagina destra del libro più volte citato, riprendeva l’annotazione dei decessi.


Le prime tre persone che troviamo tra l’11 luglio e il 2 agosto 1630,
quindi nello spazio di venti giorni, portano lo stesso cognome.
Probabilmente la peste stava ancora mietendo delle vittime.

C’è da osservare che in particolare la prima, quella sepolta l’11 luglio era morta di “petecchie” che sono,
secondo alcuni studiosi, “i bubboni, le piaghe” tipiche causate dalla peste.


Anno 1630

Ecco nelle seguenti righe la descrizione dei defunti della pagina destra dell’anno 1630.

“il dì (giorno) 11 Luglio
paso di questa vitta (passò da questa vita) il Quondam (ormai defunto, il fu) Sior Montellatto amalato di febre et petechie (bubboni, piaghe) in giorni otto se ne è morto (è morto dopo otto giorni di malattia) di añi sesanta in circa (aveva circa 60 anni)

1630 il di (giorno) 26 Lulgio (luglio)
passo di questa vitta la quondam (ormai defunta, la fu) Donna Lucia molgie (moglie) di Sior Giacomo Montellatto amalata di febre continua et mal di caduco (epilessia?)  di  añi 24 in circa (circa)  arivò a milgior vitta

1630 il di (giorno) 2 Agosto
passo di questa vitta Sior Domenego Montellatto amalato di malatia longa (lunga) se ne morì di ani 46

1630 il di (giorno) 29 settembre
passo di questa vitta il Quondam Sior Mattio Fantin Amalato di febre et cataro (catarro?) di añi 62”


Si può osservare che l’ultimo defunto di quest’anno 1630 e il primo defunto del 1631 portano lo stesso cognome, Fantin.
(Il cognome “Fantin”, forse, deriva dal termine anche veneziano “fantolìn”, che significa “bambino”).

PREMESSA

Prima di passare alla lettura del Libro dei Morti della nostra parrocchia è necessario tenere presente che :

1 – Il Parroco di quel tempo, Don Bartolomeo Angarano, quasi sicuramente, non registrava con scrupolo tutti i decessi che si verificavano ma solo in alcuni casi.

Questo lo si deduce osservando la grafia, il diverso modo di scrivere, le sfumature del colore dell’inchiostro, alcuni tratti di linea tracciati per separare il susseguirsi dei nomi dei defunti ecc…

Questa mancanza di precisione nel notificare i morti procurerà inevitabilmente degli errori nel computo esatto del loro numero.

2 – Il Parroco nei suoi resoconti, purtroppo solo raramente prendeva nota della morte di persone che avevano meno di 20 anni. Forse perché a quel tempo i minorenni non erano importanti socialmente e quindi non era il caso di tenerne memoria?

Solo in certi periodi diventa più preciso nel compilare con cura i registri. In particolare subito dopo il suo arrivo a S. Pelagio avvenuto nel 1616 e attorno all’anno 1640, l’anno di una visita da parte del Vescovo di Treviso alla parrocchia.

Ma per rendersi conto che molti bambini morivano molto presto dopo la loro nascita è sufficiente leggere le pagine del Libro dei Morti scritte dal Parroco che precedette Don Angarano tra il mese di febbraio e il mese di ottobre del 1615.


Si legge: “Catarina… è morta de giorni tre (all’età di tre giorni), Valentino… è morto de giorni 5, Giovanni… è morto de giorni 4, Donna Catarina … è morta de añi (anni) 66, Donna Lorenza … è morta de añi 48, Sebastiano… è morto de mesi 22, Maria… è morta de giorni trè, Lorenzo… è morto de anni dui (due) et mesi otto, Donna Thomasina Monara (la Mugnaia) Vedova, Habita (abita) alle Corte, amalata gia sei mesi d’un Cachero è morta d’anni 58, Orsola… è morta de mesi quindici, Francesco è morto de (di) giorni 6”.


Complessivamente sugli 11 defunti registrati, 5 sono bambini che muoiono durante la prima settimana di vita (le due bambine hanno solo tre giorni) e due prima di raggiungere i due anni di vita.

Del resto anche una delle prime bambine che Don Angarano avrebbe dovuto battezzare dopo il suo arrivo a S. Pelagio “natta (nata) il 19 novembre 1616 fa batezatta dalla comare (cioè dalla levatrice che secondo l’usanza del tempo accudiva alla nascita del bambino in casa della partoriente) et il dì isteso morse” (il testo scritto in italiano reciterebbe in questo modo “nata il 19 novembre 1616 fu battezzata dalla levatrice e il giorno stesso morì”).

Secondo una “fredda statistica” la media della vita dell’anno 1615 a S. Pelagio fu di 14 anni.

Ai nostri giorni la media della vita in Italia supera gli 80 anni.


3 – I passi trascritti tra virgolette sono riportati fedelmente, come trovati nel testo originale, quindi anche con quelli che, oggi, vengono definiti degli errori.

Sono scritti dal Parroco di quel tempo, Don Bartolomeo Angarano (si trova scritto anche “Don Ancarano” o “Don Ancaran” o “Don Angara~), originario di Bassano del Grappa; sarebbe semplicistico affermare che compie molti errori di scrittura dal momento che non scrive come ai nostri giorni.

Infatti, non bisogna dimenticare che a quel tempo non era ancora entrato in uso l’italiano attuale e che la Repubblica Veneta, che comprendeva anche Treviso, utilizzava una sua grammatica ed un suo modo caratteristico di esprimersi.

Vediamo alcuni esempi. Il Parroco scriveva:

  • –  “milgior” quando noi scriviamo “miglior”
  • –   la parola “vita” con due “t”
  • – “paso” per dire “passò ad altra vita” senza accento
  • –  la parola “anni” con una “n” sola e questa “n” portava
    sopra un accento di varia forma, ad es. ñ, ň, ad  indicare che il termine comprendeva una doppia
  • –  il termine “quondam” per significare che la persona citata era figlio/a di un signore ormai defunto
    ai nostri giorni si direbbe “figlio di fu”, in altri casi utilizzava “quondam” per affermare che la persona
    di cui stava parlando era morta, anche se da poco tempo. Questa seconda formula verrà in genere usata dopo il terribile anno 1630
  • –  i mesi “settembre, ottobre, novembre” iniziandone la scrittura con il numero “7, 8, 9”
    e facendola seguire da “bre”, quindi troviamo il mese di settembre scritto
    nella seguente maniera “7bre”, ottobre “8bre”, novembre “9bre”
    Dicembre veniva scritto “Xbre”, dove la “X” sta per “10”

Anno 1631

“il di 11 Zenar (Gennaio)
paso di questa vitta Mattio (Mattia) figlio del quondam (fu) Sior Domenego Fantin idropico di ani 10 in circa

il di 3 Agosto 1631
paso di questa vitta Donna Franceschina molgie (moglie) di Sior Domenego Piovesan morse di parti (parto) di añi 18

il di detto (il giorno detto sopra, cioè il 3 Agosto 1631)
paso di questa vitta Barbara (?) figlia di Sior Vendramin Martignon amalata di febre di añi 19

il di 9 ditto (il giorno 9 del mese sopra detto di Agosto)
paso si questa vitta Cattarina Lorenzetta morosa di Sior Vendramin Martignon di añi 18 fu sepolta dietro la cura.

Don Angarano completa, senza troppo ordine, la seguente lista dei suoi defunti dell’anno 1631 in un’altra parte del registro.

il dì (giorno) 12 Xbre (dicembre) 1631
paso di questa vita Gerolemo Piovesan di febre continua se ne morì di añi trenta sei

il dì 19 Xbre 1631
paso di questa vitta D.a  Pierancina Martignona amalata di malatia longa se ne morì di añi cinquanta doi (52)

il dì detto
se ne morì il q. Agnolo (Angelo) Piero Bat. di febre et cataro in giorni 4 di añi quaranta uno”


Anno 1633

Don Angarano riprendeva a scrivere i dati dei suoi morti.

Si vede chiaramente che per scrivere, in quest’anno, utilizzava una penna d’oca nuova e che la scrittura era più ricercata e più controllata rispetto a quella del 1631.


“il di 3 April (Aprile)
paso (passò) di questa vitta (vita) à milgior vitta il quondam Sior (Signor) Antoni (Antonio) Lorenzin amalatto di febre cattiva morì di añi 76

il di 5 ditto (Aprile)
paso di questa vitta il qondam Sior Benetto Trevisan et morse à Treviso (morì a Treviso) fu portato à S  pale (S. Pelagio) di un cataro morse di añi 74

il di 8 April
paso di questa vitta Donna Menega (Domenica) Baruchella amalata di malatia longa (lunga) et febre et se ne morì di añi 50

il di 28 8bre (ottobre) 1633
paso di questa vitta Lugrezia figlia di Sior Giacomo Montellatto amalata di febre et vermi morse di mesi 10 in circa”


anno 1634

“il di 21 7bre (settembre)
paso di questa vita Mattia figliolo del Signor Nadal (Natale) Bettinardo amalato di spasemo morse di mesi sei et fu sepolto à Treviso

il dì 22 ditto
paso di questa vitta Lorenzo filgio (figlio) di Sior Zuane circa di añi doi (due) amalato di febre

il di 6 xbre (dicembre)
Donna Bastiana (Sebastiana) Ruzenente molgie di Sior Paulin (Paolino) Ruzenente amalatta (ammalata) di febre continua è morta di añi setanta”


Anno 1635

“il di 2 Zenaro (Gennaio)
Donna Giacometta figlia di Martina Martignon Amalata di febre longa et cataro è morta di añi vinti uno (ventuno)

1635 il di 19 Zenaro
Antoni figlio del quondam Sior Santo Griguol amalato et di subito morto di añi 10 in circa

il di 20 xbre (dicembre) 1635
paso di questa vitta Cattarina figlia di Sior Marchioro Lorenzin amalata di vermi di añi doi (due) in circa”

COMMENTO

1. La tabella che segue ci mostra il numero dei battesimi, dei matrimoni e dei funerali che si sono svolti a S. Pelagio durante gli anni che vanno dal 1620 al 1640.

2. Teniamo presente che il numero dei morti non è esatto dal momento che manca il numero corretto dei bambini deceduti.

3. A quel tempo, e per moltissimi anni ancora, come si ricava da molti altri documenti, circa i due terzi dei bambini morivano entro i primi due anni di vita.

(a) Questo matrimonio venne registrato in un contesto completamente anomalo rispetto alla norma, segno evidente della confusione nelle annotazioni.

(b) I primi sei bambini di quell’anno nacquero tra il giorno 9 e il giorno 30 marzo.


4. Come si può osservare dopo la calamità della peste degli anni ’30 le nascite ripresero con maggior impulso dal 1636 in avanti.

Lo stesso incremento delle nascite rispetto alla media (dopo le gravi tribolazioni) si può riscontrare a S. Pelagio anche al termine della prima guerra mondiale.

(Vedere periodico Fradèi “Le guerre a S. Pelagio” ).


5. Se nella visita pastorale effettuata dal Vescovo nell’anno 1597 il parroco affermava “io ho anime da comunione 154 e in tutto il popolo io non so quanto sia”, possiamo supporre che, aggiungendo il numero dei “bambini”, cioè di coloro che “non avevano ricevuto ancora la comunione”, la parrocchia contasse 250 persone circa e se nella visita pastorale del 1640 Don Angarano diceva che le anime da “comunione ce ne sono n. 96 et in tutte 150 in circa” possiamo concludere che forse varie decine di persone erano decedute nel 1630 a causa della peste. 

 


6. Nelle pagine precedenti, abbiamo dato rilevanza alla peste, ma non possiamo dimenticare che il territorio trevigiano e i paesi vicini fra il 1628 e il 1631 furono colpiti anche da una spaventosa carestia, terribile e disastrosa quanto la peste.

Le conseguenze sulla vita della popolazione furono tragiche. Forse è da collegare a questa situazione di estrema povertà il fatto che non si celebrò nessun matrimonio a S. Pelagio tra il 1628 e il 1632, eccetto uno nel 1631?


7. Don Angarano stesso, durante l’ultimo periodo in cui fu parroco a “Ŝ.  pale” (come spesso egli usava scrivere il nome della nostra parrocchia) fu colpito da una malattia che gli impedì di tenere aggiornati i registri parrocchiali come prevedeva da alcuni decenni la nuova normativa voluta dal Concilio di Trento (1545-1563).

E il Parroco suo successore  scriverà, usando termini di estrema delicatezza, che “il R.do Bartolamio Angaran (Bartolomeo Angarano) all’hora (allora, in quel periodo) di questa chiesa Rettore… (Parroco di questa chiesa) per trascuragione di mente (per poca lucidità mentale)… essendosi anco il R.do in quel tempo amalato, che anco poco doppo morì” (essendosi anche il Reverendo Parroco ammalato in quel periodo, tanto è vero poco dopo morì) non teneva aggiornati i registri parrocchiali.

Trovo commovente la figura di Don Bartolomeo Angarano:

Aveva lasciato Bassano, dove era nato, al seguito dello zio prete, Don Gasparo, letterato ed amico del Burchiellati e gli era poi succeduto come parroco. 
Rimase Parroco a S. Pelagio dal 1616 al 1651 senza peraltro far mai consacrare la nostra chiesa. Abitava in una canonica ristrutturata nel 1611 dallo zio prete, ma ricoperta ancora in parte di “paglia”,
aveva circa 200 anime alle quali dedicarsi, sparse nella campagna,
aveva visto i suoi parrocchiani morire di peste,
aveva visto i suoi parrocchiani morire di carestia,
aveva visto un omicidio nella sua parrocchia nel 1639,
aveva visto che il suo fisico e la sua mente lentamente lo abbandonavano.

E così, in qualche momento di profondo sconforto si sarà spiritualmente associato al grido di disperazione del parroco che, nell’anno 1695, con la sua penna d’oca, scriveva in un altro registro dopo aver assistito ad un terribile terremoto:
“fu universale con rovina di molti camini e rovine… et messe di Huomini (e grande numero di uomini)… Dio ci dia morte!!!”, invocazione, questa, che non ritengo sia un urlo di disperazione ma l’implorazione
di un uomo di fede che ha cercato tutte le umane soluzioni possibili ma, impotente di fronte alla tragica situazione, si rifugia in Dio al Quale chiede la morte per trovare finalmente la pace lontano da questa terra di sofferenza.

L’intercalare, l’iniziare delle frasi di Don Angarano per annotare i “suoi” morti “passò da questa a miglior vita” o come scriveva egli bene “paso di questa a milgior vitta” ci fanno capire che le condizioni di vita dei suoi fedeli nelle nostre campagne del 1600 devono essere state veramente dure; il suo è quasi  un drammatico sospiro di sollievo: “anche questo mio parrocchiano è finalmente passato ad una vita “migliore” di quella che ha vissuto su questa  terra di S. Pelagio”.


Alessandro Manzoni, nel suo celebre romanzo “I Promessi sposi”, racconta della peste di Milano, di cui tutti hanno sentito parlare e che molti hanno studiato a scuola, quella è la stessa peste che colpì  anche il nostro territorio di S. Pelagio.


CONCLUSIONI

La “peste” che colpì S. Pelagio non ha fatto clamore, non è descritta in nessun libro diventato patrimonio culturale e storico, ma ha scritto le pagine della vita di quei nostri antenati che l’hanno vissuta e affrontata da protagonisti, sostenuti solo dalla forza della fede in Dio e dal conforto del loro parroco, due insostituibili “garanzie” di fronte ad ogni sofferenza.

(a cura di U. Caverzan)

PAGINE DI STORIA

Della Chiesa della Parrocchia di San Pelagio Martire, Treviso