CRONOSTORIA
Nel 1914, Augusto, aveva undici anni. Era dotato di una fervida fantasia creativa. Sapeva “leggere, scrivere e far di conto” in maniera divina. Per questo la sua maestra si recò più volte dai suoi genitori per convincerli a farlo continuare gli studi. Ma erano altri tempi. I genitori sostenevano che prima della scuola bisognava lavorare i 33 campi della famiglia Gobbato, di cui erano mezzadri, là a Lancenigo dove il bambino era nato e viveva con la famiglia. E poi Augusto doveva portare l’acqua per dissetarsi e il mangiare ai contadini che faticavano dalla mattina alla sera senza rientrare a casa. Non c’era tempo per lo studio. E Augusto obbedì, basta scuola!
Ma la sua mente creativa, vivace, allegra, bonaria lo aiutava ad uscire dalla ristretta realtà che lo circondava e riusciva felicemente a vivere anche in un simpatico, gioioso mondo poetico che sapeva, vista la sua indole di ragazzo e uomo buono, trasmettere anche agli altri.
Dopo varie peripezie, tra cui l’arruolamento volontario in guerra in Libia, un periodo trascorso in caserma a Milano come panettiere assieme a Bettiol Ernesto, poteva finalmente passare parte del suo tempo libero a rallegrare le compagnie di giovani, di anziani, gli sposi, le sagre con la sua passione: la poesia. Alcuni operai delle fornaci di Lancenigo ricordano come al termine del loro duro lavoro si recassero con una qualche innocente scusa a casa di Augusto per sentirlo recitare dei suoi versi. Altri avranno ancora presente che “passava per le case” assieme al prete, trainando un carrettino, per raccogliere delle offerte per la parrocchia e come ringraziamento offriva ai benevoli alcune sue rime improvvisate.
Arrivava a San Pelagio, in Borgo dei Biscari, nel 1958.
I figli Lidia, Ada, Piero conservano la voce di Augusto che recita i suoi saggi detti nelle poesie “I mesi dell’anno – Le guerre – Poesia agli sposi – Lettera da Bengasi – Predica del parroco di S. Pelagio – Preghiera – Confessione della cameriera – Ciarlatano a Milano”. Augusto ripeteva “…de lujo se bateva el formento e gera fortunà chi che restava ben contento. Dopo se o portava sul Consorsio da Mario Serena a Paderno su graneri ch’i lo tegneva fermo. I soldi li tirava el paròn che i se i teneva e noi altri no savevimo gnanca se el me dava a rimanensa gnanca stano che vièn…” e ancora “…Dio ga creà l’omo meraviglia di tutte le arti…”. Alla sposa dichiarava “fasso un evviva parchè a sposa a sia giuliva”. Scherzando sulla predica moralistica di un parroco commentava “ste ragasse che se tièn in bon e sti ragassi che e insegue de scondòn e me vien in ciesa tute piturie…”.
Il buon Sig. Augusto pregava ogni sera ricordando l’invocazione che la nonna gli aveva insegnato “Cuor di Gesù agonizzante abbiate pietà dei moribondi” e spesso esortava tutti alla preghiera sostenendo che “tanto, no se fa fadiga a pregar, se fa fadiga a lavorar”.