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Pagine di Storia

della Parrocchia di San Pelagio Martire

La scoperta di antichi affreschi a Roncole

Anno 1953

Nel 1953, lo storico trevigiano Mario Botter si recava a visitare assieme al figlio Memi la chiesetta campestre dedicata ai Santi Gervasio e Protasio che sorge a Roncole, nella nostra parrocchia di San Pelagio.

Mario Botter e il figlio sono noti in Treviso per il loro lavoro di recupero e restauro di molte importanti opere artistiche della città.

Nell’edizione de “IL GAZZETTINO DEL LUNEDI” 13 LUGLIO 1953′ Mario Botter pubblicava la relazione della sua visita alla chiesetta nel seguente articolo: “A RONCOLE DI SAN PELAJO” -(1)

 

SCOPERTO  UN  ANTICO  AFFRESCO IN  UNA  CHIESETTA  CAMPESTRE

IL tempietto è di struttura romanica.

Si spera nell’intervento della Sovrintendenza ai monumenti per l’integrale restauro.

La fotografia di un affresco primitivo mi venne mostrato con fare canzonatorio dall’amico Bepi Mazzotti affinchè indovinassi dove si trovava l’originale. Immaginavo che lo avesse scovato in uno dei suoi labirintici giri attraverso la Provincia per individuare le più sperdute ville da includere nella terza edizione del suo interessantissimo catalogo.

La pittura sembrava molto affine a quella che scopersi nel chiostro vecchio di Santa Margherita-(2)  di Treviso, ma mi era sconosciuta. Rimasi un po’ male nell’apprendere che l’ignoto affresco esisteva assai vicino alla città, anzi nel Comune stesso-(3), cioè nella chiesetta dei SS. Gervasio e Protasio-(4) a S. Pelajo.

La piccola costruzione-(5) che sorge isolata sui campi della frazione di Roncole-(6), era stata recentemente restaurata nelle falde del tetto a cura del parroco don Augusto Ballan-(7), il quale mi aveva ripetutamente sollecitato a visitarla.

Semplice e bianca-(8), essa si eleva sul verde di un leggero rialzo del prato. Il tetto, ricoperto di ‘marsigliesi’-(9), e il campaniletto a vela di fattura ottocentesca-(10), le conferiscono un aspetto insignificante, nobilitato soltanto dal portale della facciata, munito di piccolo protiro-(11).

L’abside-(12) minuscola è di forma cilindrica, perfettamente orientata-(13), ma rivestita da più strati d’intonaco. Anche l’interno è della massima semplicità: il pavimento a tavelle consunte-(14) e l’altare modesto-(15), con la pala dei titolari scadente-(16), e in cattivo stato di conservazione. Sopra l’altare gira un grande arco e ai lati di questo, capricciosamente contornati dallo scialbo-(17), occhieggiano due figure frammentarie in affresco-(18) rappresentanti S. Anna-(19) e S. Biagio-(20), di carattere seicentesco.

A fianco della porta laterale-(21), solo, superbo nei suoi brillanti colori, spicca il grande affresco-(22): una sacra conversazione-(23).

La Vergine, che allatta il bambino, sta seduta maestosamente in una cattedra-(24) dallo schienale arcuato. Lateralmente, ritti e rigidi, sono collocati tre Santi, uno verso la porta, due dalla parte opposta. Opera certamente campagnola e di un ritardatario, ma ispirata dai grandi esemplari della fine del XIII secolo. Effettivamente ricorda l’affresco di Santa Margherita, indubbiamente di più fine esecuzione, e a sua volta derivante da pitture veronesi.

Lo strano consiste che mentre a Treviso e nella Provincia gli affreschi di questa lontana epoca furono con particolare accanimento distrutti o ricoperti, questo, di S. Pelajo, s’è conservato intatto nel corso dei secoli e ignorato da tutti. Nessuno scrittore di cose locali ne fa menzione-(25). Nella chiesetta, più volte rimaneggiata-(26), ed anche allungata, le pitture del XVII secolo sono frammentarie. Sulla vetusta superficie dell’affresco superstite, a parte leggere abrasioni nella estremità inferiore causate dall’umidità, non esistono che dei graffiti-(27). Il più vecchio venne frettolosamente decifrato e risale al 1541, ne segue uno del 1548 e un altro alquanto vistoso “1644 scrisse Alvise Spinello Adi 19-settembre”. Come si vede, ben lievi furono i danni subiti da questa fortunata pittura al confronto di cicli pittorici notevoli massacrati nel modo più brutale-(28). Essa deve la sua incolumità allo scarso numero dei fedeli affluenti nella chiesetta soltanto saltuariamente in qualche solennità e forse alla sua particolarità di immagine prodigiosa-(29).

L’immagine di una così importante testimonianza invitava ad un attento esame di tutta la costruzione nei suoi particolari.

L’arcone trionfale, robusto, ha l’imposta molto bassa; segno evidente che il pavimento venne rialzato-(30). Il semicatino-(31) e l’abside-(32), pur sotto gli intonachi seicenteschi mostrano chiaramente la loro inconfondibile struttura romanica-(33). La muratura antica termina poco oltre l’affresco, dopo il quale risulta sostituita da altra, probabilmente quattrocentesca.

Eseguii con mio figlio-(34), per cortese concessione del parroco, alcuni assaggi, coronati subito dal più lusinghiero successo. L’abside reca nel mezzo la feritoia caratteristica delle costruzioni romaniche ancora ben conservata. Nel semicatino liberammo dal bianco di calce un magnifico affresco del XIII-(35) secolo, che con ogni probabilità servì di modello a quello prodigiosamente conservatosi nella parete della chiesa. Rappresenta-(36) lo stesso soggetto. La Vergine vestita di rosso-(37) con sovrapposto manto bruno costellato da rosette bianche-(38) siede su un cuscino rosso, posato su cattedra arcuata. Il bambino-(39), indossa una tunica rossa-(40) ed ha un grande nimbo crucifero-(41). A sinistra sta S. Maria Maddalena-(42) con tunica verde a losanghe rosse-(43), e manto bruno-(44). Nelle scarne mani tiene un vaso-(45) giallo del tipo ad “alberello”. I visi risaltanti dalla grande aureola-(46) gialla sono alquanto chiari con lineamenti fortemente contornati in rosso bruno e nero; gli occhi hanno una grande e nera pupilla fissa nel vuoto-(47).

Le pieghe dei manti si svolgono rigide con spezzettature sottolineate da pennellate nere. Il terreno dove poggia la cattedra è verde, una zona gialla va fino al sedile; lo sfondo nerastro, con velature di azzurro, resta ancora in gran parte conservato.

La composizione risulta contornata da righe verdi e rosse listate di bianco. Lo stato di conservazione è buono-(48). La tecnica dell’impasto dei voti sembra uguale a quella delle pitture della piccola abside di S. Vito-(49) che ebbi la ventura di scoprire nel 1925 e che il Prof. Coletti fa risalire alla fine del secolo XII o al principio del XIII. Trattasi dunque di un pregevole opera romanica ispirata dalla tradizione bizantina.

Riappare così una delle più antiche composizioni pittoriche di Treviso, che va ad aggiungersi alle altre pur di recente ritrovate.

La ripulitura del bianco di calce sovrapposto, anche per la fragilità della superficie dipinta, si presenta alquanto difficoltosa e lunga. La riapertura della feritoia dell’abside si rende necessaria-(50). Uno scavo per ritrovare il livello e forse il primitivo pavimento sarebbe desiderabile-(51). Le pareti inoltre attendono di venire e sistematicamente esplorate-(52), e il tetto ricoperto con tegole usuali-(53). E’ sperabile quindi un intervento della Sovrintendenza ai Monumenti per l’integrale restauro di questo piccolo nuovo gioiello che viene ad accrescere il patrimonio della nostra città-(54)”.

Mario Botter

(vedere internet… “pagine di storia… quale il nome esatto di San pelagio”)

NOTE E RIFERIMENTI

-1- Come sarebbe corretto scrivere il nome della nostra parrocchia? Nella sua millenaria storia è stato scritto in oltre 220 diverse maniere (vedere internet… “pagine di storia… quale il nome esatto di San pelagio”).
 
-2- Si trovava nei pressi della Riviera Margherita e dell’ex Distretto militare. In quella zona della città sorgevano vari monasteri maschili e femminili che rimasero abitati fino all’arrivo di Napoleone a Treviso, alla fine del 1700, che li fece sopprimere.
 
-3- Si tratta del comune di Treviso.
 
-4- Da documenti curiali firmati dal Beato Mons. Andrea Longhin nel 1929 risulta che la chiesetta e il terreno che la attornia sono di proprietà della parrocchia.
 
-5- Le misure sono: m. 11.50 x m. 6.80 x m. 5.50.
 
-6- Il quartiere a nord di S. Pelagio è denominato “Roncole”. Questo termine deriva dal latino “ronchare” che significa: estirpare, dissodare, coltivare, lavorare, togliere le spine. Possediamo notizie di Roncole fin dall’anno mille. A quel tempo la popolazione era di circa 100 anime.
 
-7- Don Augusto Ballan fu parroco a S. Pelagio dal 1950 al 1961.
 
-8- Bianca per la salsedine degli intonaci, non perché sia dipinta.
 
-9- Le tegole “marsigliesi” sono di forma piana con intagli per gli incastri. Erano state recuperate dal tetto della chiesa parrocchiale che a sua volta era stata restaurata da Don Ballan negli anni cinquanta.
 
-10- Porta la sbiadita data dell’anno “1866”.  Ha due campanelle di diversa grandezza. Quella data fu scritta, forse, in occasione dell’annessione in quell’anno del Veneto all’Italia? Il campanile attuale della chiesa parrocchiale è dello stesso periodo. Nella figurazione del Catasto del 1680 (Archivio di Stato di TV) non è rappresentato sulla chiesetta alcun campanile. Nessuna Visita Pastorale (Curia Vescovile), pur citando la chiesetta fin dal 1538, rileva la presenza di un campanile.
 
-11- Il protiro è un porticato che a S. Gervasio è appena accennato.
 
-12- Lo spazio dietro all’altare.
 
-13- Come per le chiese antiche l’orientamento della chiesetta è est-ovest. Questo posizionamento ha un significato simbolico. “Est” è il luogo dal quale nasce il sole che a sua volta raffigura il vero sole che è “Cristo”, “ovest” indica il luogo verso il quale il sole tramonta indicando l’uscita dalla vita, la “morte”.
-14- Mattoni usurati.
 
-15- L’altare di cui parla il Botter è visibile in alcune foto degli anni settanta del Sig. Carlo Teso. Questi fu l’iniziatore appassionato della storia di S. Pelagio. L’altare fu distrutto negli anni settanta da qualche insensato che si racconta volesse trovare all’interno dell’altare “un secchio pieno di antiche monete d’oro”. Lo storico Scipione-Fapanni descrive di aver visitato nel 1861 “Ill.mo oratorio… di fabbrica antica. Ha l’altare di legno alla romana. Sagra 19 giugno”. L’altare attuale è del 1985.

Nel 1985, il Comune di Treviso sovvenzionò importanti lavori di restauro della chiesetta che portarono al rifacimento del tetto, del pavimento e dell’altare. Questo fu possibile grazie all’impegno ed alla sincera dedizione del parroco Don Eugenio Gatto (a S. Pelagio dal 1961 al 1987), del Circolo Culturale e di politici locali. Purtroppo, i lavori si fermarono al restauro delle sole strutture e non al recupero degli affreschi per il cui recupero il prof. Memi Botter preventivava nel 1985 una spesa di poco superiore ai 10 milioni di lire, cioè circa 5 mila euro.

Del recupero degli affreschi se ne parlava anche nell’anno 1974, come si legge in vari documenti conservati in canonica. Cito in particolare quello redatto dalla “Soprintendenza alle Gallerie e alle opere del Veneto” che scriveva al Sindaco di Treviso di aver “incluso nel programma di restauri per il 1976 gli affreschi romanici dell’oratorio in oggetto, in considerazione della rarità degli stessi come del loro significato storico-artistico per la città. Oltre al restauro conservativo, reso urgente dalle cadute di colore recentemente segnalate dal Parroco e rilevate in occasione dell’ultimo sopralluogo del 16 gennaio u. s. si intende provvedere al recupero di tutto ciò che rimane del ciclo, attualmente scialbato, sulle pareti dell’abside e della navate…”

-16-  La “pala” si trova ora nella chiesa parrocchiale, sopra il confessionale, dove è stata portata negli anni settanta. Raffigura, secondo alcuni esperti, Sant’Ambrogio di Milano, che sta seduto in “cattedra” e i due santi martiri Gervasio e Protasio che stanno in ginocchio ai piedi del Santo patrono di Milano.

Il primo documento scritto che tratta di quel quadro è una Visita Pastorale dell’anno 1779. Si legge che si trovava sopra l’altar maggiore di S. Pelagio e raffigura “S. Pellaggio… a destra S. Pietro, a sinistra S. Paolo”. Si ritiene, però, che i tre santi appena citati non corrispondano a quelli raffigurati per le seguenti argomentazioni: i Santi Pietro e Paolo non possono essere posti in ginocchio ai piedi di un Vescovo. Mancano, inoltre, le insegne delle chiavi di S. Pietro e la spada di S. Paolo, essendo questi due apostoli superiori per dignità ad un Vescovo. Il Santo Vescovo con la barba era troppo anziano se si intendeva raffigurare S. Pelagio Vescovo morto a 25 anni. Ed ancora, San Pelagio era diacono, e quindi non poteva portare le insegne del pastorale e del cappello, detto mitria, del Vescovo, esclusive di un Vescovo. Per la verità, negli anni della relazione della Visita Pastorale del 1779 si iniziava il periodo nel quale si confondeva il nostro storico patrono San Pelagio Diacono e Martire d’Istria, con il San Pelagio Vescovo di Laodicea, che non è storicamente il Santo Patrono della nostra parrocchia. Questa confusione andrà avanti fino all’arrivo di Don Carlo Rizzetto (Parroco dal 1913 al 1950), che grazie anche a sue approfondite ricerche documentali curiali e a testimonianze scritte ed orali presso gli anziani del paese chiarì definitivamente il vero patrono della parrocchia. IL Beato Vescovo di Treviso Andrea Longhin confermerà ufficialmente tale scelta nel 1914.

-17- Dalla parete di colore pallido, bianco.

-18- Si può definire una pittura eseguita ad “affresco” quando è stata realizzata su malta, intonaco, ancora “fresco”, non secco.
 
-19- Sant’Anna, secondo la tradizione, era la Madre di Maria, mentre il padre, sempre secondo la tradizione, era  Gioacchino.
 
-20-  Nessuno ha ricordo di un affresco dedicato a questo Santo. Si conserva, invece, una foto degli anni settanta scattata dal Sig. Carlo Teso nella quale si nota a sinistra dell’arcone, un affresco raffigurante l’immagine di S. Marco. Questo affresco, caduto a terra negli anni 70, veniva raccolto dal parroco del tempo Don Eugenio Gatto che lo conservò per un periodo nel suo ufficio parrocchiale in canonica in un sacchetto di plastica. In seguito se ne persero le tracce. Ora, al posto della pittura si intravedono solo dei poveri miseri, nudi, tristi sassi.
 
-21- A sud.
 
-22- Misura m. 1.70 x m. 2.25.
 
-23- La “conversazione” avviene tra S. Gervasio che porta in mano tracce di rami, cioè gli strumenti della sua morte, la Madonna con il Bambino, S. Maria Maddalena (?) e S. Protasio il cui copricapo indica che era medico e avvocato. Porta le mani alquanto staccate l’una dall’altra volendo, quasi, con quella posizione indicare che sta sostenendo una spada che è lo strumento del suo martirio.
 
-24- La “cattedra” in questo caso viene intesa come “sedia”. Secondo le antiche tradizioni è il luogo dal quale il Papa o il Vescovo insegnano o comandano con l’autorità che viene loro da Dio. Tutti gli altri presenti, generalmente, rimangono in piedi in segno di rispetto.
-25-

Molti documenti della Curia Vescovile, in particolare le Visite Pastorali, iniziando dal 1538, citano la chiesetta. Mons. Luigi Zangrando, nell’anno 1917, riportando documenti della Curia (manoscr. Capitolare II) ipotizza che fosse dedicata inizialmente a S. Clemente.

-26-

Conserviamo testimonianze scritte che sono stati eseguiti dei lavori nel 1600, 1800 e 1900.

-27-

Incisioni sulla malta.

-28-

Purtroppo circa trent’anni l’altare di quel tempo e parte dei due Santi alla destra della Madonna subiranno dei grossi atti vandalici con l’asportazione di parte degli affreschi.

-29-

Molte testimonianze scritte del 1800, del 1900 e ancora orali confermano che, spesso, i contadini si recavano a S. Gervasio per “domandare la pioggia” per i campi.

-30-

Dagli scavi eseguiti nel 1985 per la posa del nuovo pavimento all’interno della chiesetta risulta che non fu mai sepolto nessuno, mentre, invece, nella chiesa parrocchiale di S. Pelagio, specialmente durante il 1700, furono sepolti alcuni parroci.

-31-

Si tratta della mezza-volta, mezza-nicchia.

-32-

E’ il posto riservato ai sacerdoti che si trova dietro all’altare.

-33-

Nello stile “romanico”, per motivi strutturali, si ha la prevalenza del muro e di scarsa luce, mentre nelle chiese di stile “gotico” si ha la prevalenza della “luce” che raffigura la “luce dell’amore di Dio”.

-34-

A quel paziente e prezioso lavoro del 13 luglio 1953 era presente, oltre al Prof. Botter e al figlio Memi, anche l’allora giovanetto Luigino Corrò che abitava e abita tuttora nella casa attigua alla stradina sterrata che porta alla chiesetta. Il Sig. Corrò ricorda che, al calar della giornata, con la luce di una candela, mancando la luce elettrica, illuminava i muri della chiesetta al celebre studioso.

-35-

Altri esperti fanno risalire l’affresco all’anno mille.

-36-

In questo mirabile affresco possiamo contemplare la sintesi, il compendio di tutto il Vangelo.

Nell’affresco possiamo “leggere” la nascita di Cristo, la sua morte (la Maddalena regge un vasetto di oli destinati all’unzione del suo corpo dopo la morte), la sua resurrezione (la luminosità dell’aureola), la accoglienza da parte di Dio dei peccatori (la Maddalena) e la presenza della Madre di Dio nella storia della salvezza.

-37-

Il colore rosso è simbolo della vita, come rosso è il sangue.

-38-

Le rose richiamano il cielo stellato, il regno di Dio ultraterreno, il mistero del profumo divino.

-39-

Come nelle icone di tradizione greca il volto del Bambino Gesù dimostra un’età superiore a quella di un bambino in tenera età. Questa pratica era motivata dal fatto che solo un “bambino-adulto” “sa che cosa afferma ed ha la facoltà di parlare”. L’esperto artista, quindi, raffigurava il Bambino Gesù più anziano della sua giusta età.

Un meraviglioso esempio di questa abilità lo possiamo ammirare nell’icona millenaria che si conserva nel Tempietto della Madre di Dio, presso il Monastero delle Suore di Clausura. Il Monastero si trova lungo la via San Pelagio, ai confini della parrocchia. (Vedere, nel sito internet della parrocchia “Luoghi… Monastero“).

-40-

Il rosso del vestito indica che la persona che lo indossa è viva. Il colore rosso, di solito, vuole significare il sangue rosso di una persona vivente, mentre il colore nero richiama la morte.

-41-

Un’aureola luminosa a forma di croce. La luce dell’aureola richiama la luce della risurrezione di cui Cristo godrà dopo la morte sulla croce.

-42-

I terreni circostanti la chiesetta e che si trovano verso Ponzano erano fino alla fine del 1800 di proprietà del Monastero di S. Maria Maddalena di Treviso.

-43-

Raffigurano figure geometriche.

-44-

Il colore del vestito della Maddalena indica l’atteggiamento di povertà e di penitenza della santa.

-45-

Si tratta del vasetto contenente gli oli che la Santa avrebbe utilizzato per ungere il corpo di Cristo dopo la sua morte in croce il Venerdì Santo.

-46-

L’aureola indica la presenza abbagliante, ma serena, di Dio.

-47-

L’artista ha voluto raffigurare, in particolare nella figura della Maddalena, l’incapacità dell’uomo di capire il mistero della salvezza offerto da Dio che parla attraverso un Dio-Bambino-Adulto fattosi carne. Di fronte a questo avvenimento all’uomo non rimane che “ammirare e contemplare il mistero” con gli occhi del cuore e dell’amore.

-48-

Beato il Botter e quanti fino a quel periodo sono potuti restare affascinati dalla contemplazione di quegli affreschi e poveri noi che ne stiamo constatando la triste lenta perdita.

-49-

Questi affreschi si trovano nel piccolo corridoio che collega la chiesa di S. Vito alla Chiesa di S. Lucia.

-50-

Gli originali fori della finestrella dell’abside e le due finestrelle di stile gotico sulla facciata nord furono portati alla luce durante i lavori del 1985.

-51-

Lo scavo del 1985 non ha offerto notizie rilevanti.

-52-

Una ripresa di tali approfondimenti sarebbe senz’altro auspicabile.

-53-

Il lavoro è stato eseguito.

-54-

Penso che la “nota finale, il commento finale” sia riportare la frase conclusiva dell’articolo del 1953 del Botter “E’ sperabile quindi un intervento della Sovrintendenza ai Monumenti per l’integrale restauro di questo piccolo nuovo gioiello che viene ad accrescere il patrimonio della nostra città”.

(a cura di U. Caverzan)

PAGINE DI STORIA

Della Chiesa della Parrocchia di San Pelagio Martire, Treviso